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Trento, 8 aprile 2014
Ecco perchÉ Maroni non mi ha convinto
di Marco Boato, Parlamentare per più legislature
da l’Adige di martedì 8 aprile 2014

Non c’è dubbio che sia stato un fatto positivo il duplice incontro di sabato a Trento, prima riservato e poi pubblico, dei presidenti delle Province autonome di Trento e Bolzano col presidente della Lombardia, Maroni. Al di là degli schieramenti politici contrapposti, a cui appartengono i tre, essi si sono trovati positivamente accomunati dalla critica all’impianto «neo-centralista» della proposta di riforma del Titolo V della seconda parte della Costituzione.

Una sorta di «controriforma», che ha una incidenza negativa diretta sulle competenze delle Regioni a statuto ordinario, ma che indubbiamente si può ripercuotere indirettamente (e non solo: basti pensare alla «clausola di supremazia» che viene introdotta all’art. 117 dal disegno di legge costituzionale del Governo Renzi) anche su quelle a Statuto speciale, pur garantite dall’art. 116 della Costituzione.

Ed è comunque un  fatto positivo che, con questa inedita «alleanza», si allenti la morsa pesante che dalle Regioni ordinarie si è sempre più spesso stretta, negli ultimi anni, nei confronti di quelle a Statuto speciale e quindi anche nei confronti del Trentino e dell’Alto Adige/Südtirol.

Vorrei tuttavia sollevare alcuni interrogativi, che mi sono sorti ascoltando con attenzione il dibattito pubblico a Palazzo Geremia e leggendo domenica le cronache giornalistiche sul precedente incontro «riservato».

Una prima notazione di metodo politico-istituzionale. Luisa Patruno su «l’Adige» scrive che all’incontro in Provincia tra Rossi, Kompatscher e Maroni «è stato presente per tutto il tempo anche il segretario della Lega nord Trentino, Maurizio Fugatti» (presenza documentata anche dalla foto pubblicata dal giornale). A che titolo questa presenza indebita, in un incontro istituzionale «riservato» tra i tre presidenti? Davvero una caduta di stile, che immischia ruoli di partito con ruoli nelle istituzioni di governo, i quali dovrebbero invece rimanere nettamente distinti. Confusione che si è manifestata anche nell’incontro pubblico, quando Maroni ha concluso con uno smaccato appello elettorale a votare la Lega nord nelle imminenti elezioni europee. Tanto più fuori luogo in quella sede, se si pensa che la Lega ha stipulato una alleanza politica con i Freiheitlichen, che conducono la loro campagna all’insegna della rivendicazione secessionista di uno «Stato libero del Sudtirolo» (e Pius Leitner era seduto in prima fila a godersi la scena, mentre Kompatscher, imbarazzato, si è limitato a fare, a quel punto, un appello per il candidato Svp Dorfmann).

Sconcertante a me è parsa l’ouverture di Maroni a Palazzo Geremia, con una esaltazione e difesa ad oltranza delle 24 persone arrestate nei giorni scorsi in Veneto e a Brescia con gravi imputazioni «eversive» (del resto domenica a Verona lo stesso segretario della Lega, Matteo Salvini, ha minacciato: «se non li liberano subito, li liberiamo noi e occupiamo le prefetture»…). Mi ha lasciato perplesso che Rossi e Kompatscher, intervenuti subito dopo, nulla abbiano obiettato, come se in questo caso il rispetto dell’operato della magistratura fosse diventato un «optional».

Nel simbolo della Lega per le elezioni europee ora compare un «Basta euro», rivendicato pubblicamente da Maroni, che poi si è scatenato contro il «fiscal compact». Mentre sull’euro Ugo Rossi ha giustamente obiettato (con meno determinazione lo ha fatto anche Arno Kompatscher), nessuno invece ha ricordato a Maroni che l’accordo sul «fiscal compact» lo ha assunto, nell’estate 2011, il Governo Berlusconi, di cui faceva parte la stessa Lega, della quale era segretario proprio Maroni. Al punto che il successivo Governo Monti ha dovuto dichiarare che si limitava a dare attuazione agli impegni già presi dal Governo Berlusconi, in una doverosa logica di continuità e responsabilità istituzionale.

Nel dibattito si è parlato giustamente di «regionalismo differenziato». Questo principio è stato introdotto nel 2001 (su proposta di Bressa e mia, nella Commissione Affari costituzionali della Camera, all’epoca del Governo Amato) nell’art. 116 della Costituzione, nel nuovo terzo comma. Ma nessuno ha chiesto a Maroni come mai nessuna regione - neppure il Veneto, la Lombardia e il Piemonte - hanno mai inteso avvalersi di questa possibilità, che pure è costituzionalmente prevista. E nessuno ha ricordato a Maroni che nella riforma della seconda parte della Costituzione, varata nel 2005 dalla maggioranza di centro-destra di allora (ancora Berlusconi-Maroni), veniva soppresso proprio il terzo comma dell’art. 116, che prevedeva quel «regionalismo differenziato», oggi giustamente auspicato (quella «riforma», preparata a Lorenzago in una baita cadorina, fu poi  bocciata dal referendum popolare successivo). Anche il disegno di legge del Governo Renzi propone ora l’abrogazione di quel comma, ma almeno viene sostanzialmente reintrodotto in un nuovo comma (immediatamente successivo alla «clausola di supremazia», propria degli Stati federali come la Germania) dell’art. 117, che prevede di poter delegare, con una «intesa», ad alcune Regioni «l’esercizio della funzione legislativa, in materie o funzioni di competenza esclusiva statale». Anche in questo caso, nessuno ha ricordato questa proposta di riforma costituzionale, che, se approvata, costituirebbe proprio il fondamento di un «regionalismo differenziato». E questo mentre Maroni continuava a proclamare che pretendeva di far adottare per la Lombardia lo stesso Statuto speciale della Regione siciliana (alla fine ha poi detto: «mi basterebbe anche lo Statuto del Trentino-Alto Adige», con un balletto istituzionale un po’ dilettantesco).

Poiché si è parlato, giustamente, anche della vicenda dei vitalizi, per il Trentino-Alto Adige, e degli sperperi consiliari per la Lombardia, mentre Maroni rivendicava i meriti del proprio governo regionale (è in carica da meno di un anno), mi tornavano alla mente i numerosi procedimenti giudiziari, insieme alla valanga di inchieste giornalistiche, sulle «disavventure» del suo predecessore (sempre sostenuto dalla Lega) Roberto Formigoni, ora senatore. Ma di queste vicende, assai più rilevanti, Maroni non ha fatto minimamente cenno e nessuno gliele ha ricordate, mentre si parlava in continuazione della Lombardia come «Regione virtuosa».

Personalmente sono sempre stato «garantista», prima di tutto nei confronti degli avversari politici (farlo solo con gli amici è troppo comodo e poco credibile), e mi è scolpito nella mente il principio costituzionale di «non colpevolezza» dell’imputato fino ad eventuale condanna definitiva (art. 27).

Ma tacere di tutto questo mi è sembrato un po’ troppo comodo, forse per non disturbare il clima quasi idilliaco. Dunque: la comune battaglia per contrastare gli aspetti «neo-centralistici» dell’originaria proposta governativa, fra poco all’esame del Senato, è sacrosanta e c’è da augurarsi che le principali storture vengano corrette in sede parlamentare (non ne sono certo). Il superamento della inutile e controproducente conflittualità tra Regioni ordinarie e «speciali» è sicuramente un fatto positivo (ma intanto dal Veneto, a guida leghista, si pretende di calpestare le competenze autonomistiche in materia di Valdastico, e così si tornerà alla Corte costituzionale).

Ma forse qualche dose in più di consapevolezza problematica sui temi istituzionali, e di memoria storica sulle vicende costituzionali dell’ultimo decennio, non guasterebbe davvero.

Marco Boato
Parlamentare per più legislature

 

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